RESEGONE
La ricerca dell’avventura dietro casa presa alla lettera. Non so dove andrò ma partirò da casa, questo è sicuro. Non so bene per quale ragione ma penso al Resegone e allora inizio ad informarmi sui sentieri che potrebbero collegare i miei punti di partenza ed arrivo. La parte di pianificazione è una delle più delicate perché se non conosci tutti i sentieri rischi di sovradimensionare le tappe e fare troppa fatica in viaggio o, addirittura, di non rispettare la tabella di marcia con conseguente rinuncia dell’obiettivo finale visto che era stato ritagliato preciso in 3 giorni vuoti, ma non si poteva occuparne un quarto. Inizio a scrivere una bozza e poi propongo l’itinerario a degli amici. Tutti rifiutano perché lo trovano troppo impegnativo. Dalla mia stima risultavano essere 40 km, 4000m di dislivello positivo ed altrettanti di negativo, suddivisi in 3 giorni e dunque due notti fuori, in tenda.
Dani è l’amico che diventerà il mio compagno di viaggio, lui è allenato, anche se dirà sempre di no. Ha partecipato e chiuso il GTO lo scorso anno e stiamo parlando di 70km con 4200+ in 16 ore e mezza. Qui però qualcosa cambia, e non poco. Gli zaini sono grossi e pesanti. Ragioniamo meglio ed insieme sulle tappe, valutiamo in che zone accamparci e cerchiamo di farci un’idea di quante ore di cammino dovremo affrontare per ogni giorno, tenendo conto del periodo dell’anno, Novembre, che concede non troppe ore di luce. Il meteo non è clemente e per due volte siamo costretti a rimandare visti i grossi temporali.
Domanica 11 Novembre piove, ma poco, e noi partiamo. Zaino carico che non peso, sapendo di non poter rinunciare a nulla di ciò che avevo. Dani abita a una cosa come 100 passi da casa mia e dunque qui il ritrovo e da casa mia via fino a San Rocco, la chiesetta di Ranica dove imboccheremo il primo sentiero, quello che ci porterà sul Colle di Ranica. Ad un certo punto quel sentiero si biforca e noi idealmente avremmo dovuto prendere la strada più breve che ci avrebbe ricongiuti alla fine della strada cementata, appena sotto la pozza del colle. Invece Dani propone un “tributo” a Ranica, il nostro paese, e decidiamo allora di salire fino alla croce. Il sentiero è ripido e scivoloso sotto la pioggerellina leggera ma incessante, gli zaini son pesanti ma lo spirito è alto per l’avventura che stiamo incominciando. Non siamo usciti per confrontarci con i tempi CAI o per fare gare ma alla fine un occhio all’orologio ci scappa sempre e notiamo con piacere che nonostante gli zaini pesanti abbiamo risparmiato qualche minuto sui tempi dichiarati alla partenza dal cartello CAI. Da qui un po’ di riposo per le gambe e procediamo in quota per parecchio, direzione Canto Alto. Raggiungiamo la croce dei morti e da lì seguiamo ancora sulla strada asfaltata che poi diventerà mulattiera alla Ca’ del lacc’. Qui il sentiero combacia con il cammino Mariano “Alta Via delle Grazie”. La pioggia continua, aumenta, smette, riprende ma Dani con la sua mantella procede ad un passo costante ed io cerco di assecondarlo che tanto, come dice Dani, sotto la mantella si fa un ottimo microclima quando cammini. Mezzo panino alla marmellata a testa, appena prima della salita finale per il Canto Alto e via, in 3 ore da Ranica siamo arrivati. Ci rifugiamo sotto alla terrazza per mangiare un panino al volo e, senza prender troppo freddo, ci rivestiamo e ripartiamo. Il termometro segna 8 gradi e la pioggia aumenta l’umidità tipo over 9000. Rimettersi la maglietta bagnata per ripartire non è tra le migliori sensazioni ma tempo 15 minuti e qualche slittata nel fango siamo di nuovo caldi, inoltre sappiamo che lo facciamo per un bene più grande, ovvero avere una maglietta asciutta che ci aspetta per la sera e la notte.
Scendiamo in direzione Cler di Sedrina, passando per i Prati Parini che invece, inspiegabilmente, manchiamo e ci ritroviamo su una strada sterrata che seguiamo fino a ritrovarci praticamente a Sedrina. Attraversiamo il ponte sul Brembo e camminiamo fino a Ubiale Clanezzo. Ora dobbiamo andare a Ca’ Bonorè e da lì cercare il sentiero per la Corna Marcia. Chiediamo un paio di indicazioni visto che ci piace arrangiarci piuttosto che guardare sempre la mappa ed un signore gentilissimo ci indica la strada. Una cinquantina di gradini e ci ricordiamo che dobbiamo fare rifornimento di acqua allora torna indietro, cerca una fontana e riparti. Arriviamo con più fatica del previsto a Ca’ Bonorè che dalla mappa sembrava subito lì ed invece già guadagna non pochi metri di dislivello. Qui incontriamo una signora tutta fiera di aver appena raccolto i suoi cachi alla quale chiediamo informazioni per il sentiero per la Corna Marcia. Ci troviamo così ad allungare nuovamente il nostro percorso perché noi avremmo dovuto prendere un sentiero più in cresta che prima di arrivare alla Corna Marcia avrebbe dovuto tagliare a nord per prendere le creste tra la Val Imagna e la Val Brembilla. Invece prendiamo per la Corna Marcia, sono circa le 16 e la signora ci dice, in dialetto stretto, “voi siete matti, fate preoccupare le vostre madri, cosa salite adesso che viene buio?”. Ma noi non potevamo fare altrimenti, la strada al Resegone è lunga e noi dobbiamo camminare. Troviamo un cartello che indica il Resegone. Inizia a calare il buio e nel bosco i segnavia non sono più così visibili, tant’è che prendiamo per il Monte Ubione dove, ancora una volta, allunghiamo la nostra strada. Arriviamo in cresta che è ormai buio, sono le 18 e siamo stanchi, io almeno lo sono. E parecchio. Decidiamo di rinunciare alla Corna Marcia per oggi, sarà il primo obiettivo di domattina. Montiamo la tenda, ci mettiamo dei vestiti asciutti e cuciniamo una fantastica pasta senza sale che abbiamo scordato, la mangiamo in un attimo e dividiamo un panino con la marmellata ed un panino con il prosciutto crudo, tenuto da parte saggiamente a pranzo. Accendiamo un piccolo fuoco per far asciugare un pochino i vestiti bagnati di oggi e dividiamo una bottiglietta di vino che ci permette di ritrovare lo spirito dopo la stanchezza della sgambata.
Sveglia ore 7, colazione a biscotti, tè caldo e marmellata. Smontiamo la tenda, prepariamo gli zaini, ci rimettiamo i vestiti ancora un po’ umidi dal giorno prima e ripartiamo. 15 minuti siamo già alla Corna Marcia, soddisfatti di aver recuperato il “ritardo” di ieri. Procediamo dritti cercando un sentiero che taglia sulla destra, lo imbocchiamo e ad un certo punto ci ritroviamo nel bosco senza più nessun segnavia. Le foglie, un paio di alberi caduti, chi dice che i cacciatori nascondano le tracce, ritroviamo l’orientamento e affrontiamo un impegnativo tratto in cresta senza sentiero, discesa scivolosa tra fango, foglie e sassi finché riusciamo a ricongiungerci al sentiero tracciato. Brevemente arriviamo a Berbenno dove riempiamo le borracce e dividiamo un panino col Salame e una birra. Ripartiamo per località San Pietro, direzione Tre Faggi per poi arrivare a I Canti e idealmente un pochino oltre, laddove, in fondo alla Val Imagna, si vedono quelle creste erbose. Fino ai Tre Faggi salita senza sosta, molto più impegnativo di quanto avessimo preventivato, non piove più ma c’è ancora moltissima umidità. Ci fermiamo per un pranzo veloce di riso disidratato da scaldare appena dopo al cartello che indica 40 minuti per i Tre Faggi. Una sigaretta, 20 minuti totali di pausa e siamo in partenza. Ultimo strappo e siamo ai Tre Faggi, posto molto suggestivo, non solo per i tre faggi, appunto, ma anche per la costruzione presente. Molto cammino, molta fatica e poco tempo per scattare fotografie. La ricerca in questo viaggio era forse più personale e fisica che fotografica. Proseguiamo per I Canti e li schiviamo restando appena sotto per dirigerci verso le colline erbose che ci ospiteranno per la notte. Montiamo la tenda, cuciniamo un’altra pasta senza sale perchè a Berbenno figurati se ci siamo ricordati di compralo e via a cercare di accendere un fuoco. Talmente umido tutto, il terreno, la legna, che ci impieghiamo quasi 2 ore ma alla fine ne è valsa la pena, fuoco e campo a vista Resegone, il nostro obiettivo ultimo, pronto per essere conquistato l’indomani. Tiriamo quasi mezzanotte divisi tra il gelo del vento sulla schiena e il tepore del fuoco sul viso, spesso senza nemmeno parlare, giusto godendoci la nostra avventura appieno. Sveglia impostata per le 6.30.
Colazione, smonta la tenda, richiudi lo zaino, cambiati e via, Resegone sempre in vista di fronte a noi, a su e giù di collinette, più ripide di quanto sembrassero dal satellite. Il sentiero vecchio le costeggia mentre il nuovo ne segue la cresta, ci sentiamo romantici e con l’anti vento procediamo in cresta finché arriviamo al cartello che recita “Resegone 50 minuti”. 50 minuti decisamente impegnativi, una salita che non da tregua, con la stanchezza accumulata e lo zaino ancora pesante. Ma 50 minuti passano comunque veloci quando ti sei abituato a camminare per 8 ore al giorno. E allora eccoci, prima al rifugio e subito in vetta a gustarci la vista a 360 gradi che il tempo bello, dopo i due giorni precedenti di pioggia e nuvole, ci permette. Vento forte e freddo, ancora nessuno a farci compagnia. Scendiamo al rifugio per cucinarci qualcosa ed ecco che incontriamo le prime persone in questa nostra avventura. Il vento è forte e davvero freddo e ora ci aspetta la parte forse più tosta, la discesa. Destinazione birretta a Lecco. Dai 1875m s.l.m. del Resegone ai 214 di Lecco, senza mai un tratto piano. Seguiamo la via normale e con calma, molta calma, raggiungiamo il lungo lago di Lecco, in centro, verso le 16.40. Birretta e un po’ di relax, riaccendiamo le antenne verso il mondo (leggi cellulari) e ci facciamo due risate al telefono con gli amici che pensavano non ce l’avremmo fatta. Ora è tempo di riprendere gli zaini per l’ultimo sforzo, raggiungere la stazione e prendere il treno per Bergamo. Da lì non ci aspetta altro che una doccia calda, per toglierci di dosso l’umidità delle notti precedenti e per imprimerci sul cuore e nella mente la piccola avventura che abbiamo portato a compimento.