“Paura e impotenza: la paura di ammalarmi e di infettare mia moglie e mia figlia, e l’impotenza di non sapere cosa fare,il non avere mezzi a sufficienza per diagnosticare e curare.”
Dr. Massimiliano Bellisario
“L’incertezza. L’impatto con la morte. Ambulanze e sirene per le strade. Persone in lacrime al telefono. Ragazzi smarriti in videochat.
Il lutto collettivo.
Riscatto.
E senso di riscatto è anche esigenza condivisa. Ci si rialza solo insieme.”
Don Matteo Cella
“Cosa sono i beni di prima necessità? Di cosa necessito per vivere? Vivere o sopravvivere? Perché di cibo io sopravvivo ma di solo cibo non vivo. Dipende dal tempo, come quando vai sott’acqua, inizialmente sei libero come un delfino, alla fine necessiti solo di ossigeno.”
Alessandro Travelli
“La malattia di mia suocera, l’isolamento reciproco, il senso di impotenza, la solitudine e l’abbandono hanno inciso in me ferite profonde che fanno sanguinare il mio cuore.”
Cristiana Ferraris
“Nel tempo sospeso e irreale del lock-down ci siamo sentiti vulnerabili e impotenti.
Forse, abbiamo riconsiderato il valore degli affetti, il senso stesso della vita.”
Felice Corna
“È stato un periodo veramente duro, con mia mamma che è morta il 12 Marzo, mio papà il 15, e due dei miei figli e mia moglie, a casa con 39 di febbre. I pensieri nella mia mente, scorrevano veloci e contrastanti, passando dal pessimismo più nero ad un sano ottimismo; ma questi sbalzi d’umore variavano continuamente di ora in ora, e vedere la luce in fondo al tunnel sembrava solo un lontano miraggio.”
Maurizio Signori
“Avevo perso 9 lavori su 10 e passavo il tempo in casa da solo.
Ho letto, studiato e meditato. Ho suonato e cantato. Ho aiutato qualcuno quando potevo.
Ho provato paura e ho coltivato la fede.”
Marco Vecchi
“Sono un’infermiera all’ospedale di Alzano. Un giorno fatico a respirare. Tampone, TAC, polmonite interstiziale, CPAP.
La paura, l’angoscia.
Questa è stata la malattia della solitudine.”
Catia Canonico
“Ciò che mi dà una ferrea fiducia, è la convinzione che questo possa essere un tempo di incontro profondo con noi stessi, un tempo in cui, per sopravvivere, è necessario imparare ad amarsi.
Passo da momenti di profonda disperazione, ad altri di depressione e poi picchi di gioia e gratitudine.”
Gloria Volpato – Psicologa
“Consapevolezza, angoscia, timore.
Una sinfonia di sirene ad ogni ora del giorno e della notte. La sensazione era di un abbandono totale, come se la casa fosse un’isoletta in mezzo a un mare in tempesta.”
Daniele Gamba
“Il 10 Marzo ho salutato per l’ultima volta mia madre.
Mi auguro che questo virus, che è l’ennesima prova che non esistono barriere, confini o muri, possa davvero cambiare in maniera radicale il nostro modo di vedere le cose davvero importanti della vita, che l’euforia di essere sopravvissuti non ci porti ad essere le merde di prima.”
Angelo Gregis
“Questa sorta di grande frattura provocata dalla pandemia sta funzionando come disvelamento. Il giusto e lo sbagliato non hanno più gli stessi confini, così il tollerabile e l’intollerabile.
Coscienza, per esempio, del fatto che dobbiamo preservare l’altro dentro una zona di riguardo e di riparo. Che è la stessa zona di riguardo e di riparo che chiediamo per noi, di cui noi stessi abbiamo bisogno.”
Prof. Ivo Lizzola
“La situazione sembra irreale: le strade quasi deserte, il traffico assente, uno strano silenzio interrotto talvolta dalla sirena di un’autoambulanza che trasporta con sé l’ansia e la preoccupazione che riempiono i nostri cuori in queste settimane.
Avremmo bisogno di trovare la forza per vincere lo sconforto e per affrontare i prossimi giorni.”
Cancelli Claudio – Sindaco di Nembro
“Abbiamo sentito il bisogno di narrazioni e di racconti, di dirci come stavamo, cosa vivevamo; siamo entrati nelle case gli uni degli altri, abbiamo condiviso, anche attraverso gli schermi, i nostri spazi, i nostri momenti di incertezza, di paura.”
Prof. Brunella Sarnataro
“Lavoro nelle onoranze funebri. Sono abituata alla morte, ma questa volta è stato troppo anche per me. È stato un dolore che non trova risposte.”
Vanda Piccioli
Ranica, piccolo paese limitrofo ad Alzano Lombardo.
Maggio 2020. Episodi di ansia ricorrenti.
La situazione fuori è grave, la mia mente, dentro, stanca. È quasi ora di uscire dalla bolla-casa, imposta dal lockdown. Bisogna ricominciare a vivere, ma ciò porta con sé l’assunzione di rischi prima decisamente più ridotti.
A 26 anni, inebriato dalla ritrovata libertà, mi ritrovo in bilico tra incertezza per il lavoro, spese fisse, l’appoggio economico della famiglia e indipendenza.
La fragilità delle persone care. La fragilità di chi, ancora estremamente giovane, non dovrebbe soffrirne. La paura di “portare a casa” qualcosa. Qualcosa, questa cosa, questo virus.
L’esigenza di vivere di nuovo, di godere della libertà, del lavoro, delle amicizie.
Con la mia indipendenza economica andata perduta, sento il bisogno di reimpostare un percorso, di riprende- re una direzione, un desiderio di azione, un bisogno di fare.
Da fotografo seguo dal monitor del mio computer molti progetti. So di essere tra i fortunati a non essere in ospedale, né tantomeno ammalato, ma non mi sento rappresentato, sento che non si sta parlando di me. Nella sovraesposizione mediatica, nulla parla di me, della mia ansia, del mio sentire attutito, del mio sentirmi inerme, smarrito. Ma so di non essere l’unico.
Da queste premesse nasce la mia ricerca fotografica. La mia abitazione dista 500 metri dal confine con Alzano Lombardo, sono nato all’ospedale “Pesenti Fe- naroli”, sono cresciuto qui, e la distinzione tra paesi si sostanzia, nel concreto, in giorni diversi per la raccolta differenziata, e poco altro. Sono andato a scuola a Ranica, ma poi le amicizie si allargano e superano i con- fini scolastici e così Alzano e Nembro non sono paesi lontani, distanti, ma sono sempre casa, casa mia. Casa nostra.
Il progetto vorrebbe raccontare di una tematica rimasta spesso nascosta, quella emotiva e psicologica, e avreb- be l’ambizione di aumentare la comprensione. La com- prensione gli uni degli altri, il “rendersi conto” che queste emozioni sono state ben più comuni di quanto possia- mo pensare, e che queste avranno sicuramente un peso anche in futuro, ma se condividiamo questo peso con la nostra comunità, almeno sapremo di non essere soli, e non penseremo di essere matti. Perché la paura è questa, quando ti capitano attacchi di ansia che non avevi mai sperimentato prima. Hai paura di diventare matto. Per me, almeno, è stato così.
Ma la condivisione permette di comprendere, di com- prenderci, e dunque di avvicinarci, di ridurre, emotiva- mente, quella distanza sociale imposta al nostro fisico.
Sono grato alle persone che hanno partecipato al pro- getto, poiché senza di loro, e senza le loro testimonian- ze, questo progetto non si sarebbe potuto realizzare, e il messaggio, sarebbe stato nella mia sola testa.
Dalle storie di chi ha vissuto il virus direttamente, a chi, più fortunato come me, l’ha visto solo dalla finestra, senza mai essere contagiato, e senza che la sua famiglia fosse contagiata. Perché anche chi non ha avuto diretto contatto con questo virus, ha vissuto un’esperienza che, psicologicamente, emotivamente, non è certo da sotto- valutare.
Il progetto parte a Maggio, quando ancora ci sono molta diffidenza e paura, ed entrare nelle case delle persone non è così immediato. Tanto che alcune fotografie mi è stato chiesto di scattarle in un parco. L’obiettivo è dare voce alla comunità e costruire una testimonianza che aiuti nel presente ad elaborare il lutto collettivo e l’esperi- enza emotiva, e che nel futuro possa essere testimo- nianza vera e propria di ciò che appartiene strettamente anche alla fotografia: il “è stato”.
L’approccio fotografico che cerco di perseguire è il più genuino e semplice possibile. La tematica è tanto com- plessa che la fotografia non deve rubarne spazio. Il colore nemmeno. L’intento è quello di documentare il “qui e ora”, non il “qui e allora” del lockdown, ma entro nella casa delle persone, per riuscire ad accedere al loro intimo, dapprima fisico, la casa, e poi emotivo, con la te- stimonianza che, con discrezione chiedo, ma lasciando libertà, senza voler influenzare le risposte tramite delle domande, tramite il mio personale vissuto. Una testimo- nianza scritta, libera, sugli aspetti emotivi e psicologici di questa esperienza.