Portrait & Documentary
Photographer
© Maurizio Milesi 2024
EPICENTRO | COVID-19
Alzano L.do – Nembro
Portraits and emotions
2020
Book published 2021
“Epicentro” is a tool-book for understanding, each other and oneself first and foremost. It recounts the coronavirus experience in Alzano L.do and Nembro from an emotional and psychological perspective.
Epicentro è disponibile in libreria,
ma puoi ordinarlo autografato allo
stesso prezzo, inviando una e-mail
Maurizio Milesi vive a poche centinaia di metri da Alzano Lombardo, una piccola località bergamasca che, fino a pochi mesi fa, non aveva mai avuto accesso alle cronache internazionali, se non per riferimento ad alcuni grandi stabilimenti industriali che vi sono insediati. Un discorso analogo vale per il comune di Nembro, che con Alzano Lombardo confina.
Proprio il lavoro nell’industria è uno dei fattori costitutivi delle identità individuali e collettive di questi paesi come, più in generale, di quelli di tutta la Valle Seriana. Si tratta di zone in cui, dopo la Seconda guerra mondiale, il lavoro non è (quasi) mai mancato, la maggioranza della popolazione gode di standard di benessere elevati e molti cittadini sentono di essere parte della punta più avanzata del sistema Italia, di rappresentarne il cuore produttivo, la spina dorsale.
Diffusa è anche la convinzione di disporre di un sistema sanitario all’avanguardia, all’altezza della propria condizione di paese economicamente evoluto. E, certamente, in Lombardia la sanità c’è e le persone vengono curate. Poi, però, è arrivato il 2020 e con esso la pandemia da Coronavirus a tracciare una linea periodizzante nella storia di queste comunità.
D’ora in poi, ci sarà sempre un prima e un dopo quei mesi di marzo e aprile del 2020 in cui Alzano Lombardo e Nembro diventarono, insieme ai loro abitanti, oggetto di attenzione internazionale perché, per ragioni in parte casuali e in parte legate alla loro struttura socio-economica, divennero l’epicentro della pandemia in Italia.
E, mentre la stampa mondiale raccontava delle decine di morti quotidianamente conteggiati in Valle Seriana e si interrogava sulle ragioni per cui l’Ospedale “Pesenti Fenaroli” era diventato luogo di grande diffusione del virus, la popolazione locale viveva per la prima volta dal dopoguerra l’esperienza della vulnerabilità collettiva. Si accorgeva delle proprie fragilità e dei limiti del proprio sistema economico, sociale, sanitario.
Bloccati in casa e assediati da suoni di sirene continui, i cittadini di Alzano Lombardo e di Nembro si videro costretti a fare i conti con un incremento della mortalità fuori controllo, reso evidente anche dall’esposizione anomala di paramenti funebri ai cancelli delle case. La morte e la malattia misero l’area sotto assedio, rendende impossibile ogni sforzo di rimozione della pandemia dall’orizzonte mentale.
Alla paura per il contagio, per la morte e per la malattia si aggiungeva in molti il timore di perdere la propria solidità economica. Dilagava l’incertezza, il futuro assumeva tinte fosche agli occhi di molti, riempiendosi di punti interrogativi. Dopo un paio di mesi dall’inizio dell’epidemia, il conto delle vittime metteva davanti alla realtà di una generazione decimata: gli ultrasessantenni morirono, in quei due mesi, in percentuali senza precedenti e molti di loro si sentirono solo in quel momento, per la prima volta, davvero anziani.
Le generazioni più giovani vivevano invece nell’ansia di contagiare i loro padri e le loro madri, dovendo sopportare la necessità di un confinamento nel privato familiare proprio nel corso di quell’età in cui si deve e si vuole fare esattamente l’opposto, ovvero uscire, incontrare persone, stare con gli amici, amare. La generazione perduta ha lasciato un vuoto importante a molti livelli: quegli anziani, infatti, erano spesso attivi nella vita economica e sociale dei loro paesi, erano animatori di associazioni, oltre che memorie storiche della comunità, padri, madri, nonni e nonne.
Con la loro scomparsa, si è aperta la necessità di occuparsi della dimensione collettiva del lutto, si è imposto il bisogno di un lavoro di elaborazione, perché quella tragedia non ha riguardato solo i singoli che hanno dovuto reggere la dipartita di un congiunto, ma ha assunto la dimensione di un fatto collettivo, comunitario.
È diventato importante resistere alla tentazione della rimozione, per fare memoria, ripensare all’accaduto per
riprenderlo in mano, nello sforzo di addomesticare i fantasmi che ha generato.
Il lavoro del fotografo Maurizio Milesi trova significato proprio in quest’ottica. È il lavoro di un “sopravvissuto” che cerca di dialogare con altri “sopravvissuti”, per costituire un archivio locale della memoria.
Ci sono le immagini e le parole, ci sono i volti di alcuni testimoni e i loro racconti in prima persona. Ci sono le esperienze e i
vissuti soggettivi, messi su carta per consentire a se stessi di dare un nome alla tragedia che si è scatenata – e che si ripresenta sulla scena nelle ore in cui scrivo queste righe, principalmente in altri luoghi, nella forma di una seconda ondata. Ma, insieme, queste foto e questi racconti sono un prodotto a beneficio della comunità, che permetterà anche alle generazioni oggi bambine di ritornare domani su quella pandemia che ha
sottratto loro, bruscamente e d’improvviso, gli abbracci, le cure, le coccole, l’amore dei loro nonni e delle loro nonne. Quello di Maurizio Milesi, insomma, è un utile tassello nel processo di elaborazione della catastrofe che abbiamo vissuto.
Paolo Barcella
Bergamo, 28/10/2020
Epicentro è disponibile in libreria,
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€ 14